I volti della vendemmia, celati dietro le foglie della vigna ingiallite dall’arrivo dell’autunno, sono forieri di sorprese e di dettagli meritevoli di essere accarezzati con il guanto di seta delle parole.
Già, le parole troppo spesso utilizzate per contrapporre l’umanità quando invece il loro scopo più nobile è quello di intrecciare i diversi volti umani. Alcuni volti della quotidianità, troppo spesso ignorati, che assumono i tratti peculiari di un fossile dove è incisa la nostra identità.
Ecco che irrompendo nella quotidianità aziendale di Cantine Rivera è nata l’opportunità di entrare in contatto con i volti, le mani, le rughe e le storie di chi contribuisce con il proprio lavoro, lontano dai riflettori luccicanti delle fiere o dei convegni, a produrre una tipologia di vino che poi finirà sulle nostre tavole.
I contadini che con le proprie mani accudiscono il vitigno del “ Bombino Nero”, dal quale poi verrà prodotto “il Pungirosa”,.
Queste persone, a differenza di tante altre vocate al guadagno fine a se stesso, decidono di dedicare il proprio tempo, la propria dedizione e passione ad una pianta che è VITA, e della vita bisogna prendersi cura.
Con le diverse forme di vita è necessario mantenere uno scambio costante ben lontano dal baratto e vicino all’intreccio: quei contadini oggi raccolgono il dono che quel vitigno regala loro in segno di gratitudine per non essere stato abbandonato o sfruttato intensivamente.
Ecco che arrivando lì, nel loro ambiente, e superando una naturale diffidenza iniziale, i volti della campagna posizionata ai piedi di Castel del Monte hanno allentato le difese lasciandosi fotografare, e permettendo a degli occhi estranei di cristallizzare momenti e catturare dettagli. La mano con il guanto o quella nuda, entrambe armate di forbici pronte a tagliare l’uva per posizionarla con cura nel recipiente; il volto abbellito dal baffo imbiancato dal tempo che infonde saggezza o quello del giovane contadino che a bordo del suo trattore regala un sorriso tanto bello e pulito, per nulla imbruttito dall’involuzione umana in atto.
Non solo foto ma soprattutto ascolto: quelle persone hanno sentito forte il bisogno di condividere e raccontarsi con una spontaneità tale da distruggere quel tappo che ostruisce, troppo spesso, il flusso comunicativo tra le persone.
Un’occasione quindi per accogliere la forma più incisiva di cultura: la cultura che è scambio spontaneo in luoghi, come un vitigno, dove non ci sono cattedre, intellettuali e allievi annoiati ma persone che si intrecciano.
Il loro lavoro deve proseguire.
È giunto il momento di andare con in spalla quello zaino dove, in maniera del tutto inaspettata, entrano storie umane che rendono il mio viaggio così intenso e privo del freddo della solitudine perché ricco di tanti, troppi, volti, e di storie portatrici di vivaci colori.